Zucchero

Per il nostro organismo, i carboidrati o glucidi sono come il carburante per una macchina, senza non si può andare avanti. Una volta digeriti si trasformano più o meno velocemente in glucosio, uno zucchero utilizzato dall'organismo per produrre, appunto, energia.

Sono importanti per mantenere attivi cervello e muscoli, ma anche per bruciare i grassi di deposito.
Non dobbiamo quindi privarcene, e anzi dobbiamo stare attenti ad assumerne una giusta quantità.

Eppure, quasi sempre, quando si decide di dare una svolta alla propria alimentazione si comincia dal tagliare proprio questa classe di nutrienti.
Guardando soprattutto alla loro quantità (“solo 40 grammi di pane a pasto, niente zucchero”) e non alla loro qualità.

La ricerca scientifica ci consegna però una verità diversa: i carboidrati non sono tutti uguali, e per essere in forma non basta quindi solo diminuire i grammi di dolci, pane e pasta.
Il segreto è mantenere il livello degli zuccheri nel sangue il più possibile costante, senza causare dei picchi. In questo modo, nell’ambito di una dieta equilibrata, si mantiene il peso sotto controllo ma soprattutto si abbassa il rischio di sviluppare il diabete e le malattie cardiovascolari.
E questo si ottiene misurando qualità e quantità dei carboidrati.
Il primo passo per orientarsi nel mondo dei carboidrati è dimenticarsi della vecchia divisione fra amidi e zuccheri. Questa classificazione si basa sulla struttura chimica dei carboidrati, complessa o semplice, che però dal punto di vista nutrizionale non aiuta a capire il valore e la qualità dei singoli alimenti: in poche parole zuccheri complessi e zuccheri semplici.
Fra i primi ci sono le farine, la pasta, il riso, il pane e le patate, nella lista dei secondi troviamo invece glucosio, fruttosio, saccarosio, miele.
Il consiglio è sempre stato quello di preferire i primi ai secondi, cioè gli amidi agli zuccheri semplici, perché la loro struttura complessa garantisce un assorbimento lento da parte dell’organismo, e quindi un senso di sazietà prolungato.

Ma le cose non stanno esattamente così. Studiando chi è affetto da diabete di tipo II, ci siamo accorti che a fare la differenza non è la complessità dei carboidrati, ma la loro capacità di trasformarsi velocemente in zucchero nel sangue.
Una velocità che non è strettamente legata alla struttura chimica.
Infatti, ci sono cibi che contengono zuccheri semplici che non provocano picchi della glicemia, per esempio il fruttosio, e alimenti contenenti amidi che invece la fanno impennare, come il riso.

La nuova divisione fra carboidrati “buoni” e “cattivi” si basa proprio sulla capacità di ogni alimento di innalzare la glicemia, cioè i livelli di zuccheri nel sangue.
Ma come facciamo a capire se quello che abbiamo nel nostro piatto appartiene alla prima o alla seconda categoria? Dobbiamo ricorrere a due strumenti: l’indice glicemico (IG) e il carico glicemico (CG).
Per indice glicemico s’intende la velocità di aumento della concentrazione di zucchero nel sangue (glicemia), determinata dai diversi alimenti.
Il carico glicemico valuta l’effetto sulla glicemia di un alimento basandosi sulle quantità effettivamente consumate.
Praticamente l’Indice Glicemico misura la qualità dei carboidrati, il Carico Glicemico, invece, misura la loro quantità e tiene conto sia dell’IG che del contenuto di zuccheri per porzione consumata.